La crisi del grano strangola il Libano: “La situazione è già disperata. E continua a peggiorare”

Intervista con Bujar Hoxha, direttore di Care International: “La guerra in Ucraina pesa tantissimo, la maggior parte degli approvvigionamenti veniva da lì”

Fermo immagine uno: gli uccelli neri che tutte le sere al tramonto si alzano in volo intorno ai silos del grano di Beirut, distrutti dall’esplosione del 4 agosto 2020 che provocò la morte di 246 persone. Cercano da mangiare, nelle tonnellate di cereali rimasti fra le macerie di quelle strutture mastodontiche che erano fondamentali per l’approvvigionamento alimentare del Paese dei cedri. Fermo immagine due: una donna, libanese, originaria di Tripoli – nel Nord, la zona più povera della nazione – che la sera all’orario di chiusura si reca da Paul’s, ristorante chic del centro di Beirut per raccogliere gli avanzi di cibo prima che la serranda si abbassi. La tragedia del Libano piegato dalla crisi economica, messo in ginocchio dall’esplosione del porto e ferito in maniera indicibile dalla guerra in Ucraina, sta tutta qui. In un Paese che fino a due anni fa dipendeva per il 66 per cento del grano di cui aveva bisogno dall’Ucraina e per il 12 dalla Russia: e che ora non ha né linee di approvvigionamento né può contare su scorte di grano, essendo esplose quelle che aveva. “La situazione è disperata. E continua a peggiorare. Siamo molto più che preoccupati”, dice Bujar Hoxha, direttore di Care International, una delle principali Ong attive nel Paese.

Che cosa intende con disperata?

“Le faccio qualche numero: da aprile 2019 la lira libanese ha perso il 99 per cento del suo valore. L’inflazione non ha mai smesso di crescere: il cambio si era stabilizzato a 270mila lire per dollaro libanese ma dopo le elezioni è salito di nuovo. Il prezzo di quello che chiamiamo il “paniere minimo di cibo” ovvero riso, pasta e zucchero in quantità sufficiente per una famiglia è cresciuto del 47 per cento in quattro mesi. Il costo della benzina del 50 per cento. Le famiglie, semplicemente, non ce la fanno. C’è il dramma della crisi del Paese. E poi c’è il dramma della crisi in Ucraina: questo è quello che intendo con situazione disperata”.

E cosa prevedete?

“Che vada peggio. Quest’estate sarà peggio. Se i prezzi continuano a salire, se non si troverà un accordo per rifornire di elettricità il Paese mancherà tutto: la luce, l’acqua, la benzina. Tutto qui si paga in dollari, perché tutto viene importato: il carburante, i medicinali, il cibo, i fertilizzanti per l’agricoltura: la gente normale non ha dollari e i salari in lire libanesi hanno perso valore. Ci sono gli aiuti internazionali certo: ma stiamo assistendo a uno spostamento verso l’Ucraina e non potrà che aumentare nei prossimi mesi. E già quello che abbiamo adesso non basta a coprire le necessità essenziali.”.

Che cosa state facendo?

“Il possibile. C’erano 3,5 milioni di persone sotto la linea di povertà il 1 gennaio 2022. Non ho altre statistiche, ma sono certo che il numero sia cresciuto. Secondo le persone che abbiamo sul campo l’80 per cento dei libanesi non sono in grado di provvedere ai loro bisogni minimi. Noi assistiamo migliaia di famiglie ma non basta mai”.

Quanto pesa l’Ucraina?

“Tanto. La maggior parte del grano veniva da lì. C’è la chiusura delle linee di approvvigionamento. C’è il fatto che non c’è più un posto dove mettere gli eventuali approvvigionamenti. E c’è l’aggravante dei Paesi vicini, di cui nessuno parla mai: non ha smesso di arrivare solo il grano ucraino. L’Algeria, che in teoria avrebbe potuto fornire più di quanto già faceva, ha ridotto l’export o ha aumentato i prezzi. E qui nessuno può permettersi di pagare”.

Ma in giro per Beirut ci sono ancora Ferrari e Maserati

“Questo è il Libano. Un Paese fatto di due mondi paralleli che a lungo non si sono toccati: ma stanno iniziando a toccarsi. Perché anche i ricchi iniziano ad avere problemi: il personale di servizio non ha abbastanza per pagare la benzina per andare a lavoro. Le strade sono sporche. Le file dai fornai ci sono per tutti”.

Che cosa si aspetta?

“C’è stata una strage di migranti al largo delle coste di Tripoli qualche settimana fa. Non erano siriani né asiatici, erano libanesi: e hanno preso un gommone alla ricerca di un futuro migliore in Europa. Sono affondati: temo che episodi come questo aumenteranno”.

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